Parliamone:



OSSERVAZIONI  SUL FUNZIONAMENTO DEI CDD comunali



Queste considerazioni non vogliono occuparsi di liste di attesa o di appunti sulle condizioni ambientali (spazi e manutenzione) dei locali che ospitano i CDD, o di mancanza di personale, sui cui c’e’ tanto da dire e da risolvere.
Vogliono restituire/condividere lo sguardo dei famigliari delle persone con disabilita’ che frequentano i CDD, rivolto a quello che  succede nei CDD stessi e che, soprattutto negli ultimi tempi, sta destando non poche  preoccupazioni.
La segnalazione di criticita’ non mira a squalificare un impianto che di per se’ e’ un  aiuto per le persone con disabilita’ e per le famiglie, mira a migliorare la qualita’ del servizio e la qualita’ della comunicazione sul servizio.

Quanto segue e’ stato condiviso con il Gruppo Esecutivo e l’Assemblea del Coordinamento Genitori.
L’auspicio è che questi  appunti  possano diventare un’opportunità di discussione e di confronto sui contenuti e l’organizzazione dei CDD gestiti dal Comune di Milano.


Problemi di personale e di equipe

Come naturale, nel corso degli anni si assiste ad un avvicendamento del personale presente nei Centri Diurni Disabili: dai direttori dei CDD agli educatori, dagli psicologi agli ESA/ASA e, con minore impatto
sull’utenza, dagli psicomotricisti agli infermieri.

Quello che colpisce però , come è stato  rilevato negli anni anche  da interventi di famiglie verbalizzati negli incontri mensili del Coordinamento Genitori CDD di Milano, è la nomina di direttori che non hanno necessariamente esperienza nel settore della disabilità e che, capita, come elefanti in una cristalleria, intervengano senza tener conto della storia dell’equipe e di una programmazione che va valutata con rispetto prima di proporre (e non di imporre) modifiche ai vari soggetti coinvolti: utenti, operatori e famiglie.
(Sappiamo della difficoltà a reperire queste figure direttive fra il personale comunale anche perchè è noto che il settore non è cosi attraente e qui ci si dovrebbe porre un’altra serie di domande...ma il ruolo non puo’ prescindere da inclinazioni personali, oltre che dalla posizione contrattuale)
Andrebbe chiarito meglio il  ruolo del  direttore/responsabile   dei CDD comunali.
E’ un amministrativo che coordina il personale oppure collabora con l’equipe sui programmi educativi? In questo caso, con quale formazione?
Si occupa di strategie evolutive/innovative del Servizio in accordo con l’equipe e con la Posizione Organizzativa?

Va da sé che, se il lavoro non è concertato e non trova un accordo, le equipes si sfasciano, le priorità che prima erano considerate tali diventano improvvisamente residuali, gli operatori si demotivano, non si sentono valorizzati e arrivano le richieste di trasferimento e le valutazioni di non idoneità in numeri che vanno al di la’ del comprensibile desiderio di cambiamento.
In alcuni CDD questa sorta di burn out è più evidente.
Ci si chiede: quale valutazione è stata fatta al riguardo?
Quali provvedimenti sono stati presi per prevenire tutto questo?
Agli educatori sono state concesse 20 ore di supervisione da parte di un professionista esperto. Ci si chiede perchè questa supervisione non è stata prevista per tutte le figure professionali presenti nel CDD (quindi anche direttore e psicologo): la supervisione di equipe, e non per figura professionale, non avrebbe aiutato a risolvere conflitti piuttosto che ad inasprirli, come invece è successo?

Come viene valutata l’efficacia e l’efficienza di operatori con responsabilità come i direttori e gli psicologi? Spiace entrare in tematiche di organizzazione di lavoro ma, data la ricaduta sul benessere dei nostri figli,  è nostra preoccupazione essere un po’ più consapevoli di quello che accade nell’ambiente che essi frequentano dalle 9 alle 16, per 5 giorni alla settimana.

Ci permettiamo qui di fare una proposta: dato che ogni direttore è ormai  impegnato nella direzione di due e anche tre Centri, non sarebbe utile prevedere la figura di un “educatore coordinatore” in ogni CDD che, all’impegno di supervisionare i singoli piani educativi,  unisca anche competenze di stretta collaborazione con il direttore?

Progetti personali e qdv,  attività ma non solo: valutazione e formazione

Le persone che frequentano i CDD sono giovani adulti, adulti e molti  quasi anziani. Spesso scalpitano per avere più autonomia e soffrono per la dipendenza a cui sono costretti dalle loro difficoltà.

Al di fuori dei Centri sono le famiglie che se ne fanno carico, spesso i genitori hanno un’età anche molto avanzata. In alcune situazioni  (in  quale percentuale?) gli utenti vivono al di fuori della famiglia: in genere in comunità socio-sanitarie.

Nei CDD trascorrono la giornata facendo attività esterne e attività interne.
Alcune di queste attività sono le stesse da anni, soprattutto quelle condotte dagli operatori dipendenti.
Altre sono cambiate. L’offerta si  diversifica soprattutto per le attività condotte da operatori esterni.
Un problema di queste ultime è che hanno una durata dai 4 ai 7 mesi  max, più breve rispetto agli 11 mesi di apertura dei CDD, sia per ragioni economiche che per ragioni organizzative.
Questo genera il dubbio che, dove non ci sia un’ attività programmata, per chi non sa organizzarsi autonomamente, rimanga il vuoto, ossia il rimanere a lungo “tranquilli in un un angolo” oppure una “immotivata agitazione” che richiede anche interventi farmacologici.

In molti CDD esistono  delle generiche “attività al computer” sulla base di iniziative spontanee di alcuni volonterosi operatori che, tuttavia, non hanno una formazione specifica sulle Tecnologie Assistive e spesso non riescono a proporre l’attività in modo efficace, soprattutto nelle situazioni di maggior gravità.
Tuttavia  i Laboratori di computer , funzionanti in 3 CDD comunali, con una metodologia validata da dieci anni di sperimentazione ( v. resoconto dell’OpenDay sulle Tecnologie Assistive del 12 dicembre 2013) non hanno suscitato  il giusto interesse afffinche’  “la buona prassi” potesse venir replicata in tutti i CDD. Purtroppo sembrano essere a rischio anche quelli avviati.
Eppure questa è una proposta di lavoro che ha dato ottimi risultati ed è riproducibile in autonomia anche a casa, con ovvi vantaggi sulla qualità del tempo libero e sull’autostima personale.

I  soggiorni brevi fuori città, nati per approfondire la conoscenza degli utenti, negli ultimi due anni , sono una pratica molto molto ridimensionata.

I nostri figli nei Centri sperimentano sicuramente il rapporto con l’autorità attraverso gli operatori, la condivisione del tempo con il gruppo dei pari che è fonte di conflitti, di innamoramenti, di momenti di gioia collettivi, di rabbia, di confronto,  di gioco, etc.
Sperimentano quindi emozioni vitali e normali che causano anche manifestazioni incontrollate e difficilmente contenibili e/o comprensibili se non si approfondiscono strumenti come le tecniche comportamentali.
Quindi l’aggiornamento continuo e l’approfondimento di questi approcci psicoeducativi mirati sono ormai indispensabili per far fronte anche ai casi molto gravi di disturbi generalizzati dello sviluppo/autismo.
E’ fondamentale affrontare il tema della  sessualità per la quale c’è sempre imbarazzo e  cautela da parte degli operatori.

Più gli operatori sono formati ed aggiornati più diventano un aiuto per le famiglie sia in termini di sostegno diretto che di suggerimenti per invii ad altre risorse o specialisti.
            Questo significa agevolare una presa in carico globale

Si sente il bisogno di strumenti che diano riscontro di una valutazione sul percorso che si sta facendo:
“siamo partiti da qui e tentiamo di andare là”.  Se non si arriva all’obiettivo si prova un’altra strada ma sapendo dove andare e cosa si vuole ottenere.
L’impressione è che spesso ci siano delle strade già tracciate che, se si rivelano inadeguate, non prevedono alternative.

Il CDD a volte assomiglia ad un pezzo di vita artificiale chiuso in schemi predefiniti, che non si rinnovano, che non assomigliano alla vita reale alla quale dovrebbero preparare.
Non c’è una cucina dove preparare qualcosa da cucinare. E se anche c’è,  puoi cucinare ma non mangiare quello che hai preparato, perchè le normative ASL  lo vietano!

Il CDD dovrebbe contemplare il progetto di vita della persone con disabiita’, dovrebbe preparare alla vita adulta, alla possibilità di vivere senza i genitori, bisogno emergente delle persone che frequentano i CDD.
Magari aiutarle a scoprire che sarebbe bello vivere insieme a qualche compagno, amico e simpatico.
Prendere in considerazione la vita di ogni “persona” con disabilità significa diventare co-protagonisti del suo progetto di vita. 
Il personale del CDD, grazie al tempo trascorso  con gli ospiti ed alla conoscenza che ne scaturisce, e’ un interlocutore essenziale per la comprensione della sua identità e quindi facilitatore della sua autodeterminazione (insieme con i famigliari e gli eventuali altri specialisti).

Il tentativo di avviare delle case vere da sperimentare con brevi soggiorni da offrire a  tutti gli utenti dei singoli CDD, ipotizzato in progetti da costruire sia in via Statuto che in viale Puglie che in Bernardino da Novate, è un’idea da concretizzare perchè è la preparazione al DIRITTO ad una vita autonoma, prima che i genitori non siano più in grado di  occuparsi del proprio figlio.
Fa parte di quella ricerca da fare insieme, famiglie ed operatori, verso un’identità personale che cambia e invecchia.
Il progetto di vita è fatto di tanti passaggi che mutano nel tempo, il CDD non può assolversi con la sua presa in carico parziale…..




Fare rete fra istituzioni, all’interno dell’istituzione stessa e sul territorio

La recente vicenda della richiesta di monitoraggio della programmazione quotidiana sul singolo utente da parte della ASL, per la quale ci sono state tante lamentele da parte degli operatori, dovute al tempo che si deve dedicare a rendicontare a scapito del tempo da dedicare all’utente, e tante preoccupazioni da parte di alcuni direttori perchè il lavoro venisse svolto costi quel che costi, sembra un esempio della mancanza di dialogo fra le istituzioni  (Comune e ASL).
Eppure da più parti, dal privato convenzionato, si è riferito che questo doveroso monitoraggio  può trovare modalità che perdono quell’impostazione rigidamente burocratica per trasformarsi in un confronto sulla presa in carico del singolo.

Sono ormai due anni (o tre??) che l’organizzazione del “Settore persone con disabilita” ha avuto difficoltà ad affrontare  per tempo, con competenza e con linearietà,  temi come i SOGGIORNO ESTIVI per utenti dei CDD ed altre persone con disabilita. L’impressione è stata un’assenza di dialogo all’interno dell’amministrazione, che ha mortificato anche i cittadini per l’assenza di risposte.

Da un paio di anni si stanno affermando i Poli territoriali (Est. Ovest. Nord e Sud) luoghi di confronto su progetti da realizzare e realizzati nell’ambito della disabilità  su tematiche che scandiscono la vita (la scuola, le residenze, i centri diurni, il tempo libero etc.). Gli incontri a cui partecipano terzo settore, famiglie, operatori di servizi pubblici, rappresentanti dei Consigli di zona e Consiglieri comunali sono più o meno bimestrali.
Sono uno strumento forte per la crescita di una cultura del territorio che si interroga sui bisogni di inclusione e di vita per le persone con disabilita e cerca di dare risposte costruendo insieme buone prassi. Sono uno strumento che va riconosciuto e consolidato.
La presenza, l’interesse e gli apporti di operatori di CDD e di famigliari di pcd dei CDD sono in crescita.

Concludiamo riportando un passaggio significativo della lettera di Gloria Gagliardini, Educatrice. Volontaria del Gruppo Solidarietà di Moie di Maiolati (Ancona)



 “Immagino un Centro Diurno in cui gli spazi siano ampi, ben caratterizzati per le funzioni (cucina, bagno, salotto…), in cui l’ambiente sia organizzato sui bisogni di vita reale: una stanza per simulazioni di autonomia abitativa, una per attività di tipo sensoriale per interventi di cura corporea, attività di massaggio, di relazione corporea (importantissimo per persone con compromissione del linguaggio verbale) ecc. Poi una stanza in cui parlare e magari dividersi in gruppi la mattina, un Centro dal quale le persone partano per altri luoghi (la piscina comunale, la palestra ecc…), in cui le attività siano pensate e svolte fuori (per le autonomie sociali, ad esempio).
Frequentare i luoghi e i contesti sociali non solo come visitatori o spettatori, ma come cittadini coinvolti, competenti per quello che possono: questo deve rispondere all’aspetto sociale del Centro. Un luogo che sia centrale nel territorio di appartenenza perché tutto ciò che si fa sia il più possibile fruibile, un luogo che abbia anche uno spazio esterno da poter utilizzare.

“Immagino un Centro Diurno che sia di supporto alla vita quotidiana delle famiglie, quindi con un orario esteso, e che sia in collegamento con servizi di tipo abitativo, per poter lavorare concretamente su passaggi delicati come il distacco dalla propria famiglia e contemporaneamente lavorare con la famiglia su questo aspetto. Un lavoro in cui il diurno e il residenziale siano fortemente collegati.”




           

A cura di Elena Manzoni, vicepresidente Coordinamento Genitori CDD


Milano, 20 gennaio 2014 

Commenti

Post popolari in questo blog

misura b2 appuntamento

Relazione dell'assemblea CPS Bonola del 13 giugno