I CDD (da Lombardia Sociale

I CDD e gli educatori professionali: un’opinione differente

Un contributo di Walter Fossati - Formatore esperto di politiche sociali

A cura di

10 luglio 2015

Sul tema sollevato dalla recente sentenza del Tar Lombardia, abbiamo aperto un dibattito che entra nel merito della definizione dei servizi diurni per persone con disabilità (cosa sono, a cosa devono servire, quali garanzie professionali devono offrire…) e del profilo professionale degli operatori che vi lavorano. Aggiungiamo al dibattito il punto di vista differente, che propone una visione che differenzia in modo significativo i servizi a carattere sociale da quelli a prevalenza sociosanitaria.
download (1)Tipologia delle persone con disabilità nei centri diurni
Il crinale che distingue la funzione dei C.D.D. dalle altre due unità di offerta a ciclo diurno (S.F.A. e C.S.E.) è lo stato di gravità delle persone con disabilità.
Stato di gravità che è relativo alle condizioni di salute e di autonomia/indipendenza delle persone, che si riflette nel compimento delle azioni quotidiane della vita.
A titolo esemplificativo,  nei C.D.D. sono presenti le persone con disturbi del comportamento, con particolare riferimento allo spettro autistico, o persone con altre gravi patologie.
In tali unità di offerta devono essere presenti operatori sociosanitari (in particolare: educatori professionali) in grado di sviluppare una confacente relazione di aiuto riabilitativo, assai delicata e complessa,  con le  persone utenti.
Mentre, negli S.F.A./C.S.E. devono essere presenti operatori socio-assistenziali capaci di interagire attivamente con le persone utenti, aventi, in linea progettuale, gli obiettivi dell’ampliamento del livello di socializzazione e del rispetto delle regole, che presiedono all’esercizio delle attività applicative/lavorative.
Quindi le problematiche, le metodologie operative nei C.D.D. sono particolari e specifiche, nell’ambito del sistema delle unità di offerta a ciclo diurno, in relazione alla popolazione utente.


Tipologia degli educatori nei CDD
Atteso che gli educatori professionali sono chiamati a relazionarsi significativamente con gli utenti, essi non possono non essere in possesso di alcune importanti cognizioni derivanti dalle discipline scientifiche di natura sanitaria.
Si evince l’impegno degli educatori nella relazione con la persona con disabilità dal profilo professionale dettato dal Decreto Ministeriale n. 520/1998, che recita:
“L’Educatore Professionale è l’operatore sociale e sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, attua specifici progetti educativi e riabilitativi, nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato da una equipe multidisciplinare, volti ad uno sviluppo equilibrato della personalità con obiettivi educativo/relazionali in un contesto di partecipazione e recupero dei soggetti in difficoltà per il raggiungimento di livelli sempre più avanzati di autonomia”.
Dall’esame comparato dei Piani di Studio delle classi di laurea 19 in scienze dell’educazione e SNT/2 in educazione professionale, si evince che il Piano di studio della classe di laurea 19 non prevede  integralmente lo studio delle discipline sanitarie nei primi due anni del corso di laurea ed in forma assolutamente inadeguata (o facoltativa) nel terzo anno.
Mentre nel corso di laurea SNT/2 le discipline sanitarie sono adeguatamente insegnate nei tre anni del corso di studi.
Quindi, soltanto gli educatori  professionali, con diploma abilitante, sono in possesso di adeguate cognizioni sanitarie di base, avendo frequentato il corso di laurea SNT/2.
Essi, nell’ambito dei servizi diurni (o residenziali), sono effettivamente in grado di partecipare all’equipe multidisciplinare, nella quale viene elaborato il progetto terapeutico della persona con disabilità grave e, soprattutto, sono in grado di attuare i progetti educativi e riabilitativi concernenti le persone stesse.
Per converso, le medesime caratteristiche non possono essere riconosciute ai laureati della classe 19, i quali, come afferma il Ministero della Salute (Cfr. Comunicazione del 24 dicembre 2013 rivolta al Difensore Regionale della Lombardia) sono tenuti ad operare “…nei servizi socio-
educativi, socio-assistenziali e socio-culturali…”, ma non in quelli sociosanitari, come sono identificati i C.D.D. in Lombardia, nell’assetto delle unità di offerta a ciclo diurno per persone disabili gravi.


Considerazioni sulla figura dell’operatore professionale
I motivi e la  normativa che richiedono la prestazione degli  educatori professionali laureati L/SNT2 nell’Unità d’Offerta C.D.D.
I motivi sono da ricondurre alla tipologia delle persone utenti. Gli utenti che usufruiscono del C.D.D. sono persone con disabilità grave.  Lo stato di gravità della persona costituisce il motivo discriminante per la frequenza di tale unità d’offerta.
Il livello di qualità della vita nelle persone con disabilità grave si identifica con il numero di esperienze e di attività quotidiane che le persone stesse sono in grado di compiere.
Esperienze che investono nelle capacità o nelle possibilità individuali di svolgere un certo numero di azioni indispensabili nella vita quotidiana.
Muoversi significa interagire con l’ambiente, adattarsi ad esso e modificarlo in base alle proprie esigenze.
La persona con disabilità grave richiede ancor più ed in modo elaborato un riadattamento all’ambiente ed uno studio di soluzioni atte a favorire lo svolgimento delle principali attività quotidiane, naturalmente senza prescindere dall’adeguato aiuto assistenziale.
Le persone che si trovano in queste condizioni devono poter essere curate e seguite da un team della riabilitazione, che basa il suo intervento sul ripristino delle capacità psichiche e motorie e sul recupero delle diverse attività della vita quotidiana, anche in situazioni di massima dipendenza.
Si tratta, quindi, di un team  specializzato, che ha come obiettivo il raggiungimento della massima autonomia ed indipendenza possibile e, di conseguenza, la ricerca di una migliore qualità di vita.
Un team che, nel proprio operato, si ispira ai dettami  dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – O.M.S., con la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute – I.C.F.
Nelle persone con disabilità grave le attività sono limitate, le funzioni e le strutture corporee risentono delle menomazioni, la partecipazione sociale è ristretta.
Dobbiamo significare che nello stato di disabilità grave le menomazioni  riguardano talvolta il sistema nervoso centrale e periferico, talvolta i muscoli e l’apparato scheletrico, talvolta ancora le insufficienze mentali e sensoriali.
Non è infrequente che le persone presentino una condizione di menomazione plurifattoriale.
Quindi, il team interviene sul contesto di vita della persona, agendo sui fattori personali e sui fattori relazionali-ambientali.
Si tratta di interventi educativi (aree: motoria, espressiva, delle autonomie), assistenziali (tra i quali: alimentazione, soddisfazione delle esigenze fisiologiche, igiene personale, abbigliamento, accompagnamento alla deambulazione ed educazione al movimento), di socializzazione (moltiplicazione dei rapporti nella convivenza, relazione con il territorio…gite, gare…), riabilitativi (psicomotricità, musicoterapia, idroterapia, ippoterapia, arteterapia…), sanitari (promozione del benessere psicofisico, prevenzione dei fattori di rischio, medicina predittiva dello stato latente di situazioni morbose…), sostegno delle famiglie (sollievo con alcune esperienze residenziali durante l’anno, aiuto nel superamento del complesso di inferiorità e di colpa, co-progettazione della soluzione riguardante il “dopo di noi”).
Il C.D.D.  non ha un programma riabilitativo standardizzato, ma attua tanti percorsi assistenziali  di natura sociosanitaria, per ciascuno dei suoi utenti, tenendo conto, da un lato delle pesanti  condizioni esistenziali e, dall’altro lato, delle  personali potenzialità espressive.

Sotto il profilo normativo
Il decreto MIUR del 2 aprile 2001 “Determinazione delle classi di lauree universitarie delle professioni sanitarie” individua 22 figure professionali e inserisce la figura dell’educatore professionale all’interno della classe di laurea 2 “Classe delle lauree nelle professioni sanitarie e della riabilitazione”.
Ciò, con riferimento al profilo definito con Decreto del Ministero della sanità n. 520/1998, in base al quale l’educatore professionale è un operatore sociale e sanitario.
Questa è la prima e unica fonte normativa, attuativa dell’art. 6, comma 3, del Decreto legislativo n. 502/1992.
Richiamiamo qui il punto essenziale tratto dal già citato profilo dell’educatore professionale, dettato dal Decreto Ministeriale n. 520/1998.
Gli educatori professionali laureati L/SNT2, attivi nei C.D.D. (unità d’offerta dell’area sociosanitaria), stante la preparazione di base acquisita, per la specificità delle discipline sanitarie, nei tre anni del corso di laurea, sono in grado di identificarsi pienamente nel profilo dettato dal Decreto Ministeriale n. 520/1998, che si integra nel collaborare con l’equipe all’elaborazione    del progetto terapeutico delle persone utenti, nonché nell’attuare specifici progetti educativi e riabilitativi delle persone stesse.
  

Dunque…nei Cdd servono adeguate cognizioni sanitarie
Le persone che frequentano il C.D.D. sono affette da menomazioni gravi (es. persone con disturbi del comportamento, con particolare riferimento allo spettro autistico; es.  persone con tetra paresi spastica; es. persona con insufficienza mentale grave).
Esse sono chiamate a frequentare il C.D.D. per compiere un percorso di riabilitazione.
L’educatore professionale accompagna le persone (con menomazioni) in tale percorso, con l’attuazione  di specifici progetti educativi e riabilitativi.
Pertanto, per l’educatore che opera nei C.D.D. è una condizione essenziale l’essere in possesso di adeguate cognizioni sanitarie.
Soltanto così egli è in grado di innestare sulle persone con menomazioni il percorso educativo, riabilitativo, assistenziale, socializzante, con i necessari presupposti di appropriatezza ed efficacia.
Con ciò, l’educatore esprime la propria professionalità, impegnando il proprio saper-essere e saper-fare, nonché attraverso la collaborazione in equipe con altre figure professionali.


E quindi…a chi spetta la definizione del profilo professionale?
La presenza del detto educatore e la definizione del relativo “profilo professionale” non può essere una scelta organizzativa dell’ente gestore
L’Ente Gestore del C.D.D. è un attore strumentale della Regione e, in quanto accreditato, è iscritto nel registro degli enti che gestiscono le unità d’offerta dell’area sociosanitaria.
Dall’accreditamento istituzionale, deriva all’Ente Gestore il vincolo di  rispettare “gli standard di assistenza” gestionali e strutturali.
In particolare, negli standard gestionali la Regione stabilisce che ogni ospite deve ricevere globalmente 900 minuti di assistenza alla settimana.
La Regione, soffermandosi sulle figure professionali, che devono concorrere all’attuazione dei  Progetti Individualizzati, si limita, nel suo atto amministrativo, a significare che il 50% del  “minutaggio” settimanale per ospite (cioè 450 minuti) deve essere esperito dalle “figure professionali appartenenti all’area educativa, all’area riabilitativa e all’area infermieristica”. (Cfr. Delibera della Giunta Regionale n. 18334 del 23 luglio 2004, allegato “A”).
Quindi la Regione non ha inteso precisare la specificità delle figure professionali da impiegare per l’attuazione dei progetti Individualizzati, relativamente alle aree educativa e riabilitativa, che sono proprie dell’Educatore Professionale.
Stante tale non precisazione, l’Ente Gestore, dal canto suo, si introduce impropriamente nella genericità del dettato amministrativo regionale.
Infatti, l’Ente ritiene di essere legittimato nel determinare le figure da impiegare per le citate aree educative e riabilitative, facendo rientrare tale determinazione nelle proprie scelte organizzative.
Da un lato, non è condivisibile l’operato dell’ Amministrazione Regionale, nell’aver adottato un atto amministrativo, concernente gli standard gestionali dell’ unità d’offerta C.D.D., senza precisare le figure professionali  costituenti il focus dei percorsi integrati delle persone ospiti (per le aree educativa e riabilitativa), e, in particolare, senza precisare l’impiego della figura dell’educatore professionale della classe SNT/2.
Dall’altro lato, è altrettanto censurabile l’operato dell’Ente Gestore, in quanto si ritiene discrezionalmente libero di scegliere le figure professionali da impiegare nelle aree in questione.
Per converso, il corretto comportamento dell’Ente Gestore esige il puntuale rispetto della normativa statale circa l’impiego delle figure professionali delle aree educativa e riabilitativa ed in particolare l’impiego dell’educatore professionale della classe di laurea SNT/2, anche quando ciò non sia precisato dagli atti amministrativi della Regione.
In conclusione, si osserva che il C.D.D. è un’unità d’offerta  a ciclo continuativo diurno, rientrante nei Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria (DPCM 29 novembre 2001).
Da ciò deriva che le prestazioni sociosanitarie in tale unità d’offerta devono essere erogate in base a standard gestionali e strutturali uniformi sull’intero territorio nazionale.
Pertanto, va rispettata l’esigenza di uniformità dei  profili professionali del personale da impiegare per l’attuazione dei percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria rivolti alla popolazione utente (persone con disabilità grave).
Tale esigenza non viene rispettata in Regione Lombardia, a seguito della mancata precisazione del profilo  dell’Educatore Professional SNT/2,  da impiegare nelle aree educativa e  riabilitativa dei C.D.D.(Cfr. Delibera della Giunta Regionale sopra citata).
Di conseguenza, la mancata precisazione  della  amministrazione regionale ha fatto sì che, erroneamente, l’Ente Gestore potesse ritenere ascrivibile alle proprie scelte organizzative l’impiego di figure professionali, per le aree educativa e riabilitativa, che non sono riconducibili al dettato del Decreto Ministeriale della Sanità, n. 520/1998.

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